sabato 23 ottobre 2010

Il Buonarroti......




El vulgo volle

notte chiamar quel sol che non comprende.
Michelangelo Buonarroti, sonetto 101

lunedì 13 settembre 2010

mercoledì 8 settembre 2010

La méditation....


"Avendo sentito parlare degli effetti positivi della meditazione, taluni decidono di meditare. Ebbene, la meditazione è un lavoro del pensiero, e se queste persone non incominciano col mettere ordine nella vita di ogni giorno, sarà la vita stessa a distruggere il loro lavoro.

Potranno anche assumere una postura, chiudere gli occhi e fare tutti gli esercizi yoga che vorranno, ma finché non si imporranno una certa disciplina interiore, quegli esercizi non serviranno a niente, e saranno per loro addirittura nocivi.

Cosa fa un malato deciso a ritrovare la salute? Non si accontenta di prendere dei medicinali, ma segue un regime, adotta un nuovo stile di vita, perché sa che i medicinali da soli non sono che palliativi. E voi, se volete che la pratica della meditazione sia realmente benefica, dovete apportare dei cambiamenti anche in tutto il vostro modo di vivere, vale a dire non solo migliorare la vostra condotta, ma anche i vostri pensieri e i vostri sentimenti."

Omraam Mikhael Aivanhov

martedì 7 settembre 2010

La serenità





Mutano i cieli sotto i quali ti trovi,
ma non la tua situazione interiore,
poichè sono con te le cose
da cui cerchi di fuggire

lunedì 6 settembre 2010

Scienza e Dharma


Francisco Javier Varela García nasce a Santiago in Cile nel 1946. Dapprima studia medicina e biologia, poi alla Harvard University consegue il Ph.D. in biologia. La sua tesi, difesa nel 1970 e supervisionata da Torsten Wiesel, è intitolata La retina degli insetti: Il processo dell'informazione nei composti dell'occhio. Insegna in molti istituti ed università nel Nord e Sud America: a New York, a Berkeley in California, nel Colorado, in Costa Rica, in Cile; poi in Europa presso il "Max Planck Institut for Brain Research" di Francoforte ed il "Polytechnical Institut" di Zurigo. Nel 1986 soggiorna in Francia, dove inizialmente insegna scienze cognitive ed epistemologia alla École Polytechnique. Nello stesso periodo dirige il gruppo di ricerca "Dinamiche dei sistemi neuronali" del Laboratorio di Neuroscienze e Brain Imaging del CNRS (Centre national de la recherche scientifique) presso l'ospedale della Salpêtrière.

Ha dato importanti contribuiti nei campi della biologia, dell'immunologia, delle neuroscienze, negli studi sull'intelligenza artificiale, nella cibernetica, nella teoria dei sistemi complessi e nell'epistemologia.

Dopo il colpo di stato di Augusto Pinochet nel 1973, Varela e la sua famiglia passano 7 anni in esilio negli Stati Uniti; poi ritorna in Cile per assumere un posto come professore di biologia.

Varela diventa buddista tibetano nel 1970. Inizialmente studia meditazione con il maestro Chögyam Trungpa Rinpoche, fondatore del Vajradhatu e Shambhala Training. Più tardi studia con Tulku Urgyen Rinpoche, un maestro nepalese di tantra.

Muore di epatite C nel 2001 a Parigi a causa del trapianto di fegato che aveva subito nel 1998.[1]. Varela ha lasciato quattro figli, tra cui l'attrice e modella Leonor Varela.

Il suono dell'Anima

Poesia visiva

domenica 29 agosto 2010

venerdì 20 agosto 2010

La mente mente

Il fisico David Bohr


Per esporre la mia teoria scientifica, devo partire dal grande dibattito, profondo e aspro a momenti, ma sempre condotto con grande nobiltà e signorilità, tra Bohr e Einstein. Questi due giganti del pensiero scientifico nutrivano un profondo rispetto reciproco ed ognuno di loro era attento alle acute e penetranti osservazioni dell’altro. Questo articolato processo, a cui presero parte anche altri illustri scienziati, da Heisenberg a Born, da Schrodinger a Von Neumann, portò a focalizzare in modo via via più preciso (anche se questo non risultò immediatamente evidente) punti particolarmente problematici della teoria quantistica. Vediamo rapidamente le varie fasi del dibattito.

A. Einstein cerca di dimostrare che il principio di indeterminazione non è corretto, suggerendo gedanken experimente che dovrebbero consentire, in linea di principio, la determinazione simultanea e arbitrariamente accurata di variabili incompatibili, quali posizione e velocità di una particella. Secondo tutti i testi ufficiali Bohr esce vincitore da questo scontro, ma questi testi non danno il dovuto rilievo al fatto che per ottenere questo risultato egli si trovò costretto ad una evidente forzatura: ha infatti dovuto attribuire a sistemi macroscopici, che unanimemente si ritiene siano governati dalle leggi della fisica classica, comportamenti tipici del mondo quantistico. Questo fatto contribuirà in misura rilevante a far maturare, sia pure dopo alcuni anni, nei membri più attenti della comunità scientifica l’idea che uno dei problemi più seri che la teoria quantistica si trova a dover affrontare nasce dalla sua incapacità di identificare con precisione e rigore matematico la linea di demarcazione tra processi microscopici e processi macroscopici.

B. D’accordo, sostiene Einstein, non è possibile determinare simultaneamente i valori di grandezze incompatibili, ma ciò non vuol dire che esse non abbiano valori precisi. Insomma, secondo Einstein, la teoria quantistica contiene senza dubbio un frammento della verità ultima, ma necessita di un completamento.

C. Einstein, insieme a Podolsky e Rosen concepisce un gedanken experiment, divenuto famoso come “paradosso di EPR”, il quale implica che la meccanica quantistica è una teoria fondamentalmente incompleta. Bohr reagisce in un modo non del tutto convincente, ma, ancora una volta, la comunità scientifica non mostra la dovuta sensibilità alla critica estremamente acuta e avanzata di Einstein. In realtà, quella di Einstein fu una sconfitta, ma segnò uno dei momenti più alti della ricerca della prima metà del secolo scorso, in quanto fu richiamata l’attenzione su un elemento, la non località quantistica, di assoluta centralità per la comprensione della realtà. Merito di Einstein fu l’aver messo in evidenza aspetti talmente peculiari della natura che nessuno aveva immaginato e la cui comprensione costituisce ancora oggi uno dei temi centrali del dibattito sulla scienza.

D. Nei suoi ultimi scritti Einstein tocca il cuore delle difficoltà della teoria quantistica. Non è il principio di indeterminazione che lo tormenta, non sono più neppure le incomprensibili caratteristiche della realtà a livello microscopico, ma il fatto che la teoria, se assunta essere completa, richiede la rinuncia a minimali richieste di realismo perfino a livello macroscopico, un prezzo che egli, come tanti altri, ritiene troppo alto. L’affermazione di Einstein, spero che qualcuno scoprirà un modo più realistico, o piuttosto una base più tangibile di ciò che è stato mia sorte fare, si era in fondo dimostrata vera e ciò costituisce, in un certo senso, la sua tardiva vittoria.

Ho seguito con passione il dibattito, affascinato dalle evidenze sperimentali che confortavano la nuova teoria e, al tempo stesso, dalla solidità delle obiezioni di Einstein, fermo su una visione deterministica della realtà.

Secondo la mia visione, l’universo è descrivibile da un modello a variabili nascoste. Provate a pensare ad un iceberg di cui vediamo soltanto la punta. Per descriverlo nella sua interezza dobbiamo fare ricorso a variabili che a noi sfuggono. Sono convinto che, al di sotto del livello quantistico governato dal caso e dall’incertezza, c’è un livello subquantico in cui ritornano il determinismo e la realtà. Mi chiederete: e al di sotto? Ancora altri livelli, è una struttura senza fine. Le verità più profonde sono per noi irraggiungibili.

Anche la visione del mondo tipica del Buddhismo e dell’Hinduismo prevede una unità e un ordine universali e si basa sul concetto che “ALL IS ONE” e tutto ciò mi ha sempre affascinato e condotto a esplorare altre dimensioni della realtà ed altre discipline.

martedì 17 agosto 2010

L'economia cinese supera oggi quella giapponese


"Il filosofo osserva il volo delle farfalle" un'ukiyo-e di Hokusai

domenica 15 agosto 2010

Grrrrrr....


Che cos'è la rabbia? La rabbia è una emozione tipica, considerata fondamentale da tutte le teorie psicologiche poiché per essa è possibile identificare una specifica origine funzionale, degli antecedenti caratteristici, delle manifestazioni espressive e delle modificazioni fisiologiche costanti, delle prevedibili tendenze all'azione. Essendo un'emozione primitiva, essa può essere osservata sia in bambini molto piccoli che in specie animali diverse dell'uomo.

Quindi, insieme alla gioia e al dolore, la rabbia è una tra le emozioni più precoci.
Essendo l'emozione la cui manifestazione viene maggiormente inibita dalla cultura e dalle società attuali, molto interessanti risultano gli studi evolutivi, in grado di analizzare le pure espressioni della rabbia, prima cioè che vengano apprese quelle regole che ne controllano l'esibizione. Inoltre, la rabbia fa parte della triade dell'ostilità insieme al disgusto e al disprezzo, e ne rappresenta il fulcro e l'emozione di base. Tali sentimenti si presentano spesso in combinazione e pur avendo origini, vissuti e conseguenze diverse risulta difficile identificare l'emozione che predomina sulle altre. Moltissimi risultano essere i termini linguistici che si riferiscono a questa reazione emotiva: collera, esasperazione, furore ed ira rappresentano lo stato emotivo intenso della rabbia; altri invece esprimono lo stesso sentimento ma di intensità minore, come: irritazione, fastidio, impazienza.

Da dove nasce la rabbia?
Per la maggior parte delle teorie la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica.
Pur rappresentandone i denominatori comuni, la costrizione e la frustrazione non costituiscono in sé le condizioni sufficienti e neppure necessarie perché si origini il sentimento della rabbia. La relazione causale che lega la frustrazione alla rabbia non è affatto semplice. Altri fattori sembrano infatti implicati affinché origini l'emozione della rabbia. La responsabilità e la consapevolezza che si attribuisce alla persona che induce frustrazione o costrizione sembrano essere altri importanti fattori.

Ancor più delle circostanze concrete del danno, quello che più pesa nell'attivare una emozione di rabbia sembra cioè essere la volontà che si attribuisce all'altro di ferire e l'eventuale possibilità di evitare l'evento o situazione frustrante.
Insomma ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno, soprattutto quando viene percepita l'intenzionalità di ostacolare l'appagamento.

Contro chi ci si arrabbia?

L'emozione della rabbia può essere quindi definita come la reazione che consegue ad una precisa sequenza di eventi

  1. stato di bisogno
  2. oggetto (vivente o non vivente) che si oppone alla realizzazione di tale bisogno
  3. attribuzione a tale oggetto dell'intenzionalità di opporsi
  4. assenza di paura verso l'oggetto frustrante
  5. forte intenzione di attaccare, aggredire l'oggetto frustrante
  6. azione di aggressione che si realizza mediante l'attacco

Questo è quello che avviene in natura, anche se l'evoluzione sembra aver plasmato forti segnali che inducono la paura e di conseguenza la fuga, impedendo cosi l'aggressione dell'avversario. Nella specie umana, di solito, si assiste non solo ad una inibizione della tendenza all'azione di agg ressione e attacco ma addirittura al mascheramento dei segnali della rabbia verso l'oggetto frustrante. Nella specie umana, la cultura e le regole sociali a volte impediscono di dirigere la manifestazione e l'azione direttamente verso l'agente che scatena la rabbia.

Tre possono quindi essere i fondamentali destinatari finali della nostra rabbia:

  • oggetto che provoca la frustrazione
  • un oggetto diverso rispetto a quello che provoca la frustrazione (spostamento dall'obiettivo originale)
  • la rabbia può infine essere diretta verso se stessi, trasformandosi in autolesionismo ed auto aggressione.

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Come il corpo manifesta la rabbia?
Per quanto siano estremamente forti le pressioni contro la manifestazione della rabbia, essa possiede una tipica espressione facciale, ben riconoscibile in tutte le culture studiate. L'aggrottare violento della fronte e delle sopracciglia e lo scoprire e digrignare i denti, rappresentano le modificazioni sintomatiche del viso che meglio esprimono l'emozione della rabbia. Tutta la muscolatura del corpo può estendersi fino all'immobilità.
Le sensazioni soggettive più frequenti possono essere: la paura di perdere il controllo, l'irrigidimento della muscolatura, l'irrequietezza ed il calore. La voce si fa più intensa, il tono sibilante, stridulo e minaccioso. L'organismo si prepara all'azione, all'attacco e all'aggressione.Le variazioni psicofisiologiche sono quelle tipiche di una forte attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico, ossia: accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa e dell'irrorazione dei vasi sanguigni periferici, aumento della tensione muscolare e della sudorazione. Gli studi sugli effetti dell'inibizione delle manifestazioni aggressive sembrano indicare che chi non esprime in alcun modo i propri sentimenti di rabbia tende a viverli per un tempo più lungo .

Quali sono le funzioni della rabbia?
Le modificazioni psicofisiologiche che si manifestano attraverso la potente impulsività e la forte propensione all'agire con modalità aggressive sono funzionali alla rimozione dell'oggetto frustrante . La rabbia è sicuramente uno stato emotivo che aumenta nell'organismo il propellente energetico utilizzabile per passare alle vie di fatto, siano queste azioni oppure solo espressioni verbali. La rimozione dell'ostacolo che si oppone alla realizzazione del bisogno può avvenire sia attraverso l'induzione della paura e la conseguente fuga sia mediante un violento attacco.

Le numerose ricerche compiute sui comportamenti di specie diverse dall'uomo, hanno dimostrato che l'ira e le conseguenti manifestazioni aggressive sono determinate da motivi direttamente o indirettamente legati alla sopravvivenza dell'individuo e delle specie. Gli animali spesso attaccano perché qualcosa li spaventa oppure perché vengono aggrediti da predatori, per avere la meglio sul rivale sessuale, per cacciare un intruso dal territorio o per difendere la propria prole.

Negli uomini invece, i motivi alla base di un attacco di rabbia riguardano maggiormente la frustrazione di attività che erano connesse con l'immagine e la realizzazione di sé. Lo scopo in questo caso sembra più rivolto a modificare un comportamento che non si ritiene adeguato. L'arrabbiarsi, motivando chiaramente le motivazioni dello scontento, sembra infatti essere una procedura per ottenere un utile cambiamento.

http://www.benessere.com/psicologia/emozioni/la_rabbia.htm

martedì 10 agosto 2010

L'Archetipo del Puer Aeternus

Simonetta Figuccia

Quando ci si imbatte nel genio creativo della giovinezza è l'incontro col Puer Aeternus, il fanciullo che è in ciascuno di noi.

Nel suo saggio sull’arche-tipo del Fanciullo Divino, Jung afferma che il bambino rappresenta l’inizio e la fine, la creatura che esisteva prima di diventare uomo e la creatura finale, una anticipazione della vita dopo la morte. Il Fanciullo simboleggia l’essenza pre-conscia e post-conscia dell’uomo. Per questo l’irruzione dell’eterno fanciullo nella vita dell’uomo è una esperienza indescrivibile.
L’archetipo del Fanciullo Divino ha animato molte mitologie, è legato alla nascita di un dio interiore, ma assume anche una connotazione negativa.
Marie L. Von Franz prende in esame questo lato negativo nel suo libro, Il Puer Aeternus. Il Puer Aeternus viene analizzato come uno svantaggio ed una prerogativa divina.
Il Puer è quel lato che ci fa ondeggiare verso il trascenden- te, ci mette in contatto con il Sè.
Se da un lato esso rappresenta un rinnovamento della vita, la spontaneità e una nuova possibilità esistenziale, esso manifesta anche un aspetto distruttivo.
Può rappresentare quell’ombra infantile che superiamo col tempo, quell’infantilismo che deve essere sacrificato: l’aspetto che ci spinge indietro, che ci porta a essere dipendenti, pigri, giocherel-loni, a fuggire i problemi e le responsabilità della vita, in ultima analisi, a restare infantili.
L’archetipo del Puer ben rappresenta l’eterna lotta tra la psicosi e il contatto con il Sè, tra l’emergere di pulsioni immediate ed infantili e la possibilità di restare in contatto con la totalità. Ognuno di noi porta dentro di sè un lato infantile, una parte che non può mediare.
E’ come se si attivasse il bimbo che dice: voglio tutto, e se non posso averlo è la fine...
Von Franz afferma che solo attraverso l’accettazione del dolore che questa parte ci impone, può attuarsi il processo di individuazione. E’ come se in certi momenti agisse una "funzione inferiore", una entità viva, con proprie esigenze, che disturba l’Io. E’ esperienza umiliante quella di riconoscere l’esistenza di quelle reazioni istintive che ci portano ad esasperare le situazioni, che ci fanno provare sentimenti forti di odio o amore.
Se tale parte istintiva viene riconosciuta, accettata, possiamo crescere.Ciò che teniamo dentro senza viverlo in realtà ci si ritorce contro: se rifiutiamo la crescita non possiamo che soccombere.
Von Franz analizza accuratamente il Puer nel suo aspetto negativo.
Il Puer rifiuta di crescere e superare il problema della madre:Von Franz ritiene che questo sia oggi un problema sociale, per la sua diffusione.
"In generale identifichiamo con l’archetipo del Puer Aeternus l’uomo che rimane troppo a lungo nei limiti di una psicologia adolescenziale, che conserva cioè anche in età adulta i tratti caratteristici del giovane di diciassette anni. Nella maggior parte dei casi questo prolungamento dell’adolescenza si combina con una dipendenza troppo stretta dalla madre.
Alcune delle manifestazioni tipiche dell’uomo che soffre di uno spiccato senso materno sono il dongiovannismo e l’omosessualità. Il puer di solito fatica ad adattarsi alle situazioni sociali. Egli si sente una creatura speciale, ritiene di non doversi adattare.
L’atteggiamento arrogante che ne consegue, si basa su falsi sentimenti di superiorità. Individui di questo tipo difficilmente trovano un lavoro giusto. C’è sempre qualcosa che non va.
Nemmeno la donna è mai quella giusta: è carina, brava, ma il puer non può impegnarsi. Spesso a questo tipo di nevrosi si accompagna il complesso del "salvatore": il Puer pensa segretamente che un giorno salverà il mondo.
Il maggiore timore di un uomo di tal tipo è quello di essere legato a qualche cosa. Ha una paura tremenda di essere in qualche modo inchiodato, di entrare nello spazio e nel tempo, di essere la creatura specifica che egli è. Ha paura di essere catturato in una situazione da cui non saprebbe uscire.
L’uomo bloccato dal complesso materno, si troverà sempre a dover lottare contro la propria tendenza a rifugiarsi nella condizione di puer.
Il puer ha una grandissima ricchezza interiore, è dotato di una ricca fantasia, ma non la lascia fluire nella vita.
Rifiuta di accettare la realtà per quella che è, ed ostacola la vita stessa.
Spesso questo tipo di persona, maschio o femmina, si ciondola, indugia troppo su fantasie ed emozioni. Spreca la capacità di vivere, perchè la sua stessa ricchezza interiore, le fantasie, possono anche soffocarlo. Con questo tipo si ha la sensazione di trovarsi vicino ad una persona piena di potenzialità, che non trova però il modo di realizzare.
Spesso tali persone sono pervase da un senso di noia totalizzante, sono paralizzate da una forma di pigrizia, e tendono a perdersi nel mondo illusorio della fantasia.
Ma la noia riflette proprio il sentimento soggettivo di non essere dentro il flusso della vita. La noia è sintomo di vita trattenuta. Le persone che trovano difficile avvicinarsi al proprio centro sperimentano se stesse solo quando soffrono.
La sostanza del problema è: come uscire dalla vita fantastica dell’infanzia senza smarrirne il valore?
Come diventare adulti senza perdere il senso della totalità, della creatività e quella sensazione di essere realmente vivi?
L’unica strada, dice Von Franz, è quella dell’accettazione del dolore e della contraddizione, come il senso più profondo del nostro esistere.E’ necessario mollare il bagaglio di illusioni che ci portiamo dietro, senza diventare cinici.
E se riusciamo ad accettare questo lato infantile e ombroso, non ne resteremo schiacciati e potremo aprirci alla vita, scoprendo la contraddizione del nostro essere, la nostra unicità e la capacità di incidere sul mondo.
Cito un sogno a tal proposito:
Le sognatrici sono trattenute in un paese senza tempo da strani uomini. L'unico modo per liberarsi è lavorare alzando le mani al cielo.

Bibliografia: M.L.Von Franz "Il Puer Aeternus" ed. Red




venerdì 6 agosto 2010

Mare o.......


Un uomo si sentiva perennemente oppresso dalle difficoltà della vita e se ne lamentò con un famoso maestro di meditazione. "Non ce la faccio più! Questa vita mi è insopportabile".

Il maestro prese una manciata di cenere e la lasciò cadere in un bicchiere pieno di limpida acqua da bere che aveva sul tavolo, dicendo: "Queste sono le tue sofferenze". Tutta l'acqua del bicchiere s'intorbidì e s'insudiciò. Il maestro la buttò via. Poi prese un altra manciata di cenere, identica alla precedente, la fece vedere all'uomo, poi si affacciò alla finestra e la buttò nel mare. La cenere si disperse in un attimo e il mare rimase esattamente com'era prima. "Vedi?" spiegò il maestro "Ogni giorno devi decidere se essere un bicchiere d'acqua o il mare".

Fonte:http://www.meditare.net/racconti/la-scelta

Il Male del Secolo

lunedì 2 agosto 2010

Preghiera del Buon Umore


Dammi, o Signore, una buona digestione ed anche qualcosa da digerire.
Dammi la salute del corpo, col buon umore necessario per mantenerla.

Dammi, o Signore, un'anima santa, che faccia tesoro di quello che è buono e puro,
affinché non si spaventi del peccato,
ma trovi alla sua presenza la via per mettere di nuovo le cose a posto.

Dammi un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti,
e non permettere che io mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo invadente che si chiama: "IO".

Dammi, o Signore, il senso del ridicolo.

Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo,
affinché conosca nella vita un po'di gioia
e possa farne parte anche ad altri.

Così sia.

(Tommaso Moro - da una pagina del "Libro d'Oro" - Parigi - 1549)

domenica 1 agosto 2010


Noi siamo gli asini

Noi siamo una testa senza giudizio
Siamo una scimmia senza cervello
Siamo la fine senza l’inizio
Siamo il becco, ma senza l’uccello
Siamo una guerra senza armistizio
Siamo la falce senza il martello
Siamo la chiave senza la porta
Siamo una bella natura morta

Noi siamo gli asini

Noi siamo i matti del manicomio


Siamo buffoni siamo pagliacci
Siamo vestiti di pezze e di stracci
Siamo pagliacci siamo buffoni
Col cazzo fuori dai pantaloni
Facciamo ridere tutta la gente
Ci abbiamo in bocca soltanto un dente
Ma se facciamo troppo casino
Ci attacchiamo subito alla corrente

Noi ci mangiamo la terra e i sassi
Nel giardino a angolo retto
Inciampiamo sui nostri passi
Quando fa buio torniamo a letto
Per fare in fretta la nostra cena
Per non avere troppi pensieri
Ce la servono in endovena
Le suore, i medici e gli infermieri

Noi siamo gli asini

Noi siamo i matti del manicomio


Per chi ha bisogno di santi e di eroi
Chi cerca un briciolo di poesia
Venga pure a guardare noi
Che sfiliamo lungo la via
Ci guarderete con interesse
Come uno squalo dentro a una vasca
L’ultimo mulo che tira il calesse
La stella cadente che adesso casca

Ci alterniamo coi nani e le zoccole
L’orso che tiene sul naso una palla
Il leone che mangia le vongole
La scimmietta sopra la spalla
Noi siamo quelli pieni di caccole
Che con il moccolo fanno la bolla
Pure se siamo poveri cristi
Facciamo coppia col bue nella stalla

Perchè siamo gli asini

Noi siamo i matti del manicomio


Però ce l'abbiamo una folle idea
Che forse forse vi sembrerà strana
Cacare sui vostri mobili Ikea
Sui vestitini di Dolce e Gabbana


Sugli onorevoli sempre corrotti
Che non finiscono mai in galera
Sulla gobba di Andreotti
Sui telequiz del sabato sera

Sulle preghiere dei bigotti
Sulla triste camicia nera
Sulle combriccole dei salotti
Sulla retorica della bandiera
Noi siamo storpi, noi siamo brutti
Siamo discarica, siamo il vizio
Noi siamo l’odio contro voi tutti
Siamo vecchi pure per l’ospizio

Noi siamo gli asini

Noi siamo i matti del manicomio


Voi perdonate se troppo sgarbata
Ci venne fuori questa canzone
Ma per trovare la rima baciata
Ci lavorò tutto il padiglione
Il padiglione che verso quell’ora
Si deve bere la camomilla
Che ce la porta la vecchia suora
Prima di chiuderci nella stalla

Noi siamo gli asini

Noi siamo i matti del manicomio

Noi siamo gli asini
Noi siamo i mani del matticomio

venerdì 23 luglio 2010

La vera psichiatria è la quotidianità


Forse non tutti voi sapete che la vita mi ha voluto regalare quattro creature, intelligenti e belle. Ma per ventura o per stoltaggine me le sono viste togliere anni fa, perché fumavo, dicono! Ora, ciò che più mi preoccupa e mi manca, come madre, è la mia terza figlia. Allontanata non so da cosa o da chi. Persa senza conoscerne il perché, non mi aiuta più. Ed era, credetemi, la cosa più bella che avevo. Ditemi, vi prego, nella Vostra saggezza, come si fa a vincere questa guerra armati solo di una spada spuntata e usando come cavalcatura il ronzino che sono ormai le mie gambe morte? Ciò non bastasse, confido a Voi che il vero manicomio non è la mia esperienza passata ma è ora la mia quotidianità. Amica di Franco Basaglia e di Giorgio Manganelli mi vedo trattata come uno straccetto, visitata da pie opere assistenziali le quali, misericordiosamente ricordando che da un anno sono senza gas, mi portano minestre che per quanto buone hanno fatto di me una virtuosa delle coliche. Sulla mia testa, in solaio, i gemelli scorrazzano, felicemente animati da fanciullesca forza, oltre che da naturale irresponsabilità. Rileggo il Fantasma di Kanterville e muoio di crepacuore, non riuscendo almeno a intimorire questi malcapitati. Sono diventata suscettibile, e nel rumore sordo dello sciacquone che gli abitanti del solaio tirano spesso di notte affonda anche la mia povera poesia. La poesia, il mio lavoro mi sfugge. L'amministratrice dello stabile ricorda di me solo «il manicomio» e in parte lo trovo quasi un «riconoscimento» perché a quell'epoca risale l'opera più bella che ho scritto: la Terrasanta. Ho chiesto anche alla Chiesa di aiutarmi ma l'estate scorsa, dopo essere stata a San Pietro e alla Chiesa della Grazie, mi è venuto un bell'infarto. Unica nota lieta di quel periodo il ricordo del Presidente Ciampi quando in Campidoglio mi è venuto incontro con grande affetto, subito dopo che mi era stata fatta la protesi. Capite perché allora, una notte forse uguale alle altre o forse più cupa delle altre mi hanno sentito gridare: «Stasera mi ammazzo!». L'unica soluzione, la più semplice: mi hanno portato in psichiatria. Credete sul serio che l'avrei fatto? La preoccupazione, credo anche giustamente, non era per l'Alda Merini ma per lo stabile che vorrei veniste a vedere: ci sono crepe ovunque e non credo di essere profeta di sventura se dico che certamente non moriremo di gas ma, prima o poi, travolti da un crollo. Forse non faranno in tempo a porvi la targa «qui visse e operò la poetessa Alda Merini» ma quella con scritto «qui visse e perì». Vi ringrazio e vi prego: aiutatemi a riavere mia figlia, non vorrei saltasse fuori un altro Rigoletto che, accecato dall'ira, invece del padrone uccide la figlia prediletta.
Alda Merini
(dal Corriere della Sera del 30 maggio 2008) 1 novembre 2009

Disabili a chi?

Come ad alcuni già accennato, ho cambiato lavoro...sono "diventato" un operatore socio-sanitario in ambito disabilità. Forse la denominazione più azzeccata è Operatore in relazione d'aiuto...comunque sia volevo proporvi una fotografia di cosa si impara facendo questo lavoro....sorridere e far sorridere.

giovedì 22 luglio 2010

Riposo

La condizione essenziale per lavorare bene è riposare....a presto!